Oramai sono quasi quattro anni che ho fatto letteralmente un tuffo doppio carpiato nella Capoeira, e tutto quasi per caso.
Dapprima timida e riluttante, poi totalmente immersa e coinvolta, per un periodo un po’ distaccata e infine totalmente innamorata.
Il mio apelido è Guaranà, pianta tropicale simbolo di energia e vitalità ed elisir di lunga vita (come, non conosci la leggenda di Cereaporanga che fu trasformata nella pianta di Guaranà per sfuggire ai guerrieri indios? male!), e mi è stato affibiato dopo pochi mesi, quando ho preso a frequentare tutte le lezioni settimanali e tutti gli eventi in giro per l’Italia e l’Europa, come a cercare di sentire la capoeira non solo nel profondo dei muscoli doloranti e in mutamento, ma anche nello stomaco, nel cuore e nella testa.
Sì, perché la capoeira coinvolge tutti i sensi e tutti gli ambiti della vita: emozionale, sentimentale, valoriale, relazionale, sensoriale, insomma, tutto.
Non è che tutti i capoeristi la sentano, questa magia, non è che tutti diventino delle persone più profonde o più sagge giocando la capoeira.
Forse ci vuole un’attitudine, oppure una particolare sensibilità, o bisogna esserci nati e vissuti dentro, per SENTIRE così tanto questa arte così completa. Perché non solo si potenzia il corpo, si migliora l’equilibrio e la consapevolezza di sé, ma anche si ritrova quella gioia infantile di giocare insieme (anche con maestri anziani e autorevoli), sfidarsi, stuzzicarsi e poi abbracciarsi stretti, gonfi di orgoglio o anche di frustrazione.
Capita di ritrovarsi faccia a faccia in Roda dopo anni e sorridersi ricordando i primi giochi insieme, o di urlare e acclamare di stupore quando un salto mortale sembra davvero mortale e si conclude invece con il tonfo sicuro dei piedi sul pavimento.
In alcuni casi nascono coppie meravigliose e ogni occasione è buona per fare festa, suonare e ballare il Samba e giocare fino allo sfinimento.
Nel nostro gruppo poi si è creato nel tempo un lessico famigliare che ci rende unici e uniti, ché per esempio l’un l’altro ci soprannominiamo Banana, Banano, Bananà, o scherziamo sui giochi di parole che nascono dai miscugli fra brasiliano, italiano, ebraico, inglese, russo e croato. come tra fratelli.
E che dire ancora? Se Malandro per descriverla non ha potuto fare a meno di dire che “è fatta di persone”, e Sereia l’ha definita come “un’energia globale, un’energia che ti riempie e ti svuota allo stesso tempo”, come posso io rendere in una parola ciò che la capoeira mi dà ogni giorno accompagnandomi nei miei viaggi, nei miei allenamenti, nelle mie lontananze e gioie e frustrazioni e perfino nei sogni?
Ecco, capoeira in un certo senso per me rappresenta la vita e la sua imprevedibilità. Direi che è come la serendipità: vai per cercare qualcosa e trovi tutt’altro. Credi di trovare un gruppo di fanatici, o di praticare una qualsiasi arte marziale, e trovi un intero mondo nuovo in cui ti puoi tuffare anche a peso morto, sapendo che non prenderai di certo una brutta spanciata.
(piaciuta, la metafora acquatica?)











